SPAZZATURA SPAZIALE, A NOI DUE!


Pellegrino Guerriero a Newcastle, nel quartiere del terzo parco eolico più grande del mondo


Costruire, lanciare e mantenere una navicella nello spazio è qualcosa di straordinario, ma anche di straordinariamente inquinante: come vi abbiamo già raccontato nel numero 22 di PLaNCK!, i veicoli spaziali producono moltissimi rifiuti, che rimangono nello spazio, attorno alla Terra, e possono danneggiare l’ambiente circostante. Come risolvere questo problema? Ce lo spiega Pellegrino Guerriero, ingegnere aerospaziale e capo progetto presso Siemens Gamesa in Olanda. 

 

Pellegrino, che cos’è la spazzatura spaziale?

È l’insieme dei rifiuti, chiamati “detriti”, derivanti dalle missioni spaziali arrivate alla fine della loro “vita”. Si tratta di oggetti di varia natura, come pezzi di satelliti non più operativi, parti di razzi e macchie di vernice. Alcuni possono superare i 10 centimetri, ma altri sono davvero piccoli, circa di 1 millimetro!

 

 

Quando ha iniziato a diventare un problema?

Dal 1957, anno in cui fu messo in orbita il primo satellite Sputnik, ad oggi, sono stati effettuati più di seimila lanci nello spazio. E più aumentano i veicoli in orbita, più aumenta il rischio di collisioni tra i detriti che ne derivano e si accumulano. A metà degli anni ’80 ci si è resi conto che questa situazione poteva rappresentare un serio pericolo per le future missioni spaziali.

 

 

Questi rifiuti sembrano pericolosi… Possono fare male agli astronauti nello spazio e a noi sulla Terra?

Il rischio in orbita, per astronauti e veicoli, è ben più elevato che sulla Terra. Questo perchè i detriti spaziali si accumulano a certe quote, a migliaia di chilometri dalla superficie terrestre, per poi diminuire ad altezze maggiori. Questi oggetti possono viaggiare nello spazio fino a 10 chimoletri al secondo, cento volte più veloci di un’auto da corsa! A tale velocità, l’impatto di detriti, anche piccolissimi, con un satellite può gravemente danneggiare il  satellite.

Nel 2009 due satelliti si sono scontrati in orbita e hanno prodotto migliaia di detriti. Nello stesso anno la Stazione Spaziale Internazionale è stata messa in allerta per il rischio di scontro con detriti. Evitare le collisioni nello spazio è fondamentale anche per evitare un effetto a cascata: una collisione tra due oggetti determina la creazione di molti oggetti, che a loro volta potranno scontrarsi creando ancora più detriti, e così via.

La probabilità che si possa essere colpiti da un detrito spaziale sulla Terra è bassissima. Questo perché la maggior parte dei rifiuti viene distrutta dalle altissime temperature che incontrano attraversando l’atmosfera. Solo le parti resistenti al calore, come i serbatoi, raggiungono la superficie. 

 

Come si fa a “vedere” e monitorare i detriti?

Esistono vari sistemi per tenere d’occhio i detriti spaziali, come quelli montati sui telescopi o sui satelliti. Inoltre gli scienziati creano dei modelli al computer per capire come i detriti si comportano in orbita e valutarne il rischio.

 

C’è un modo per rimuoverli?

Non ancora, ma stiamo studiando vari metodi, come l’uso di bracci robotici o reti. La missione ClearSpace-1 dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), partirà nel 2025 e sarà la prima missione dimostrativa per la cattura e il rientro di satelliti a fine vita.

 

È possibile costruire dei veicoli che non producano detriti? 

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo distinguere tra lanciatori e satelliti orbitanti. I lanciatori, ovvero i razzi che servono a lanciare satelliti e gli astronauti nello spazio, possono essere utilizzati per più di una missione e in questo modo non producono rifiuti (o ne producono pochi). Alcuni esempi sono il Falcon heavy dell’azienda SpaceX e Themis dell’ESA, attualmente in costruzione. Per i satelliti invece esistono tre possibilità: satelliti in grado di distruggersi quando terminano le loro attività; satelliti riutilizzabili per diverse missioni; satelliti che a fine vita, grazie ad una speciale manovra, si posizionano sulle cosiddette “orbite cimitero”, percorsi che garantiscono che questi satelliti non incontrino altri mezzi o corpi celesti per almeno 50 anni. In generale, è necessario che tutte le future missioni siano in grado di valutare e minimizzare l’impatto che avranno nell’ambiente spaziale, già nella prime fasi di studio e progettazione.

 

Cosa fai di mestiere?  Che consigli daresti ai bimbi e alle bimbe che vogliono fare qualcosa di simile?

Attualmente mi occupo di energie rinnovabili e di turbine eoliche in mare, ma di base sono ingegnere aerospaziale e appassionato di tematiche spaziali. Il mio consiglio è di non fermarsi mai alla superficie delle cose, ma di andare sempre a fondo investigando e documentandosi. Come disse una volta il famoso scienziato Isaac Newton: «A me sembra di essere stato solo un ragazzo che gioca sulla riva del mare e si diverte a trovare ogni tanto un sassolino un po’ più liscio o una conchiglia un po’ più bella del solito, mentre il grande oceano della verità si stende inesplorato dinanzi a me».

 

 

Le altre interviste della serie: